Il primo studioso ad aver introdotto l’ipotesi di aspettative razionali nei movimenti dei prezzi è stato Muth in un articolo pubblicato su “Econometrica” nel 1961, “Le aspettative razionali e la teoria dei movimenti dei prezzi”.
Le sue osservazioni sono state poi applicate alla relazione inversa osservata tra livelli dell’inflazione e disoccupazione da Lucas.
L’articolo di Muth prende le mosse dal riconoscimento del ruolo delle aspettative nella spiegazione delle variazioni dei livelli dell’attività economica.
Nella sintesi neoclassica, le aspettative, influendo sulla posizione delle IS e LM, determinano la domanda effettiva e i livelli del reddito reale e dell’occupazione.
Si pensava che non fosse possibile costruire una teoria delle aspettative e che l’unica caratteristica che si potesse mettere in evidenza di esse fosse la loro aleatorietà.
Nessuna teoria avrebbe potuto spiegare il modo in cui le aspettative variano.
L’ipotesi delle aspettative razionali esclude che gli agenti possano compiere errori sistematici di previsione.
Essa non afferma però che i valori futuri delle variabili possano sempre essere previsti, perché in tal caso l’aspettativa razionale coinciderebbe con la perfetta previsione di qualsiasi valore futuro.
Il mondo reale ha invece incertezza: difficoltà di accedere alle informazioni e di conoscere con precisione le reazioni degli altri operatori economici.
Qualsiasi variabile economica si presenta agli osservatori come dotata di un andamento in parte casuale.
Le aspettative razionali affermano che, se non è possibile prevedere con precisione l’andamento della variabile casuale oggetto della previsione, è possibile prevedere il suo trend, la sua tendenza centrale.
Nell’economia reale, con incertezza e incompletezza dell’informazione, l’aspettativa razionale coincide con l’aspettativa matematica condizionata.
Una prima proprietà dell’aspettativa matematica condizionata afferma che, sulla base dell’informazione utilizzata nel periodo corrente, gli agenti non hanno alcun elemento per prevedere come varieranno le loro aspettative sui valori della variabile oggetto della previsione.
L’aspettativa razionale formulata al tempo t è la miglior stima del valore futuro di una variabile al tempo t+i+J.
Se gli agenti conoscessero, al tempo t, come varieranno le loro aspettative a t+i del valore della variabile a t+i+J, e non usassero tale informazione, commetterebbero un errore di previsione, escluso dall’ipotesi di un uso efficiente dell’informazione.
Quindi l’ipotesi delle aspettative razionali è una teoria che concerne la formazione delle aspettative correnti, ma non è una teoria delle future revisioni delle aspettative.
E{[E(Xt+i+j/I]/It}=E(Xt+i+j/It).
Una seconda proprietà afferma che nessun sottoinsieme può essere usato per migliorare la previsione.
Tale proprietà esclude che i soli trascorsi valori della variabile oggetto della previsione, e quindi ipotesi di formazione delle aspettative di tipo estrapolativo, possano fornire migliori previsioni di quelle ricavate dall’applicazione dell’ipotesi delle aspettative razionali.
E{[Xt+i-E(Xt+i)/It]/St=O dove S è il sottoinsieme usato per formulare l’aspettativa del possibile errore di previsione.
Una terza proprietà afferma che l’aspettativa matematica condizionata degli errori di previsione è uguale a zero e questa rende esplicita l’identificazione tra previsione razionale e certezza e rileva che l’ipotesi delle aspettative razionali minimizza l’errore di previsione.
E(ut+i/It)=0 dove u è l’errore di previsione.
Una quarta proprietà afferma che gli errori di previsione non sono serialmente correlati tra loro.
E(Xt+i/It)=E(Xt+i/ItUt-i..Ut-n).
Si assume che gli errori di previsione abbiano media zero e una varianza costante e finita.
Tali proprietà implicano che le previsioni ottenute applicando l’ipotesi delle aspettative razionali sono in media sempre corrette e che gli errori di previsione compiuti non possono essere utilizzati come informazione per migliorare le previsioni future.
Muth è convinto che le aspettative degli operatori economici corrispondono alle previsioni della teoria economica: le previsioni degli operatori economici sono le stesse della teoria economica rilevante.
L’ipotesi delle aspettative razionali: le aspettative degli operatori economici tendono a essere distribuite, per uno stesso insieme di informazioni, vicino alle previsioni della teoria economica.
Questa conclusione ha un una conseguenza sugli effetti dell’incertezza nella teoria economica.
Secondo Keynes, l’incertezza è predominante nell’azione degli operatori economici.
Con l’ipotesi delle aspettative razionali invece, l’incertezza è meno importante.
Non viene negata né trascurata l’importanza della soggettività nella formazione delle aspettative, né si nega che possano verificarsi eventi imprevedibili.
Dal punto di vista della teoria del comportamento economico, la formazione delle aspettative ha tutte le informazioni sul funzionamento dell’economia, non avviene dunque nel vuoto.
La formazione delle aspettative non è una scommessa su eventi futuri sempre imprevedibili, ma ha a che fare con l’osservazione di molti dati statistici esprimenti inequivocabili e regolarità.
Applichiamo le conclusioni di Muth alle aspettative inflazionistiche.
Il valore atteso del tasso d’inflazione è uguale all’aspettativa matematica del tasso d’inflazione condizionata allo stato dell’informazione del periodo in cui si forma l’aspettativa.
pte=E(pt/It+i) ove E(pt) è il valore dell’aspettativa matematica della variabile pt mentre I t-1 è l’insieme di informazioni sulla cui base si è ricavato il valore dell’aspettativa matematica.
Nel 1972 Lucas pubblicava uno studio sullo scetticismo degli economisti sull’esistenza del trade-off tra inflazione e disoccupazione.
Questo scetticismo nasce dalla constatazione che la curva di Phillips dipende dal comportamento degli operatori economici e dalle loro aspettative, e quindi ogni tentativo di muoversi lungo la curva di Phillips per incrementare la produzione, può essere frustrato dalle variazioni delle aspettative che spostino la curva.
Si vuole costruire un modello econometrico per verificare l’ipotesi del tasso naturale di disoccupazione.
Nonostante le critiche che Lucas muove all’ipotesi delle aspettative adattive di Frieclman, tutta l’opera di Lucas conferma le osservazioni teoriche e le prescrizioni di politica economica del monetarismo.
Lucas osserva che, per le serie dei dati degli USA, i saggi d’inflazione e della disoccupazione sono correlati negativamente; e la correlazione negativa permane anche se i valori della disoccupazione sono sostituiti con i valori della produzione reale e gli incrementi dei prezzi sono sostituiti da incrementi dei salari monetari.
Per la maggioranza degli economisti il trade-off di breve periodo sarà osservato anche nei modelli econometrici di lungo periodo, stimati sulla base di quei dati.
Tutta la ricerca econometrica finisce con il ridursi, secondo Lucas, alla verifica anche nel lungo periodo di questo trade-off di breve.
Il primo obiettivo che Lucas si propone è spiegare l’esistenza di questa correlazione di breve periodo che sembra smentire l’ipotesi del tasso naturale di disoccupazione.
L’esistenza del trade-off conferma l’ipotesi contraria a quella del tasso naturale della disoccupazione: l’ipotesi della compenetrazione tra variabili reali e monetarie, la loro correlazione, nata con Keynes e assimilata dai neoclassici.
La convinzione che le variabili monetarie siano incapaci di influenzare quelle reali è derivata dall’evidenza empirica di lungo periodo.
Il punto di partenza di Lucas è quello di rendere compatibile l’apparenza della non neutralità della moneta, con il principio classico in base al quale il comportamento massimizzante degli agenti è sempre guidato dalla valutazione dei prezzi relativi.
Lucas riesamina il legame teorico tra le aspettative degli operatori e il trade-off inflazione produzione.
Secondo Lucas occorre distinguere il comportamento dell’offerta aggregata di breve periodo da quello di lungo periodo.
Gli operatori economici massimizzano la funzione d’utilità.
Oggetto delle scelte del consumatore sono: il consumo corrente di beni; il tempo libero corrente; i beni futuri; il tempo libero futuro.
I prezzi e i salari sono conosciuti dagli operatori; mentre per i prezzi futuri il consumatore ha conoscenze precise ma non corrette.
Qui la deviazione dal tasso naturale di disoccupazione non è il risultato di assunzioni implicanti inspiegate vischiosità dei salari monetari, né dipende da comportamenti inefficienti degli agenti, ma è il risultato dell’interazione dei comportamenti reali massimizzanti con un’informazione errata o insufficiente.
Qui l’esistenza di una curva di Phillips di breve periodo è l’esito di una politica monetaria imprevedibile che, determinando un tasso inatteso di inflazione, induce in errore gli agenti, incapaci di distinguere inizialmente le variazioni nominali dei prezzi dalle variazioni dei prezzi relativi.
L’errata percezione dei prezzi relativi sui quali gli operatori economici basano il loro comportamento è all’origine di quel cambiamento delle scelte reali che si risolve in un tasso di disoccupazione effettivo diverso da quello naturale.
La curva di Phillips è il risultato dell’interazione tra l’informazione imperfetta entro cui gli agenti operano e gli shock che colpiscono l’economia.
Qui le variazioni dell’offerta aggregata in risposta a variazioni permanenti dei salari e dei prezzi differisce dalle variazioni della stessa dipendenti da variazioni transitorie.
Questa funzione d’offerta riconcilia l’apparente contrasto tra le teorie dell’offerta di lavoro di breve e di lungo periodo.
Le prime reputano che l’offerta di lavoro sia infinitamente elastica alle variazioni dei salari reali o monetari, mentre la seconda ritiene che l’offerta di lavoro sia inelastica alle variazioni dei salari.
La funzione d’offerta di Lucas soddisfa entrambe le caratteristiche: è verticale rispetto ai movimenti permanenti (nega l’esistenza d’illusione monetaria nel lungo periodo), ma è inclinata positivamente rispetto ai movimenti dei prezzi transitori (in sintonia con la correlazione osservata tra prezzi e produzione).
La funzione d’offerta aggregata è: Yt=a(Pt-Pt*) dove Yt è il logaritmo della produzione reale al tempo t; Pt è il logaritmo del livello dei prezzi; Pt* è il logaritmo di un indice dei prezzi futuri attesi.
Questa razionalizzazione del trade-off osservato o “razionalizzazione della rigidità dei prezzi”, può essere completata introducendo nella funzione d’utilità le attività dei lavoratori diverse dalla semplice distinzione tra lavoro e tempo libero, considerando ad es il tempo dedicato all’istruzione o alla ricerca di un lavoro.
La funzione è costruita sulla base di due ipotesi: nel breve periodo le variazioni dei prezzi attesi dopo ai movimenti dei prezzi effettivi sono meno che proporzionali; nel lungo periodo, sotto la condizione di prezzi costanti, i prezzi attesi eguagliano i prezzi effettivi.
Senza queste due ipotesi, non avrebbe senso affermare, dice Lucas, che la funzione d’offerta aggregata è basata sull’ipotesi del comportamento razionale.
Aggiungiamo l’ipotesi di aspettative adattive alla funzione precedente.
Lucas suppone che prezzi attesi e correnti siano messi in relazione dalla: Pt*=λPt+(1–λ)Pt–10<λ<l.
Con la trasformazione di KoyckPt+(1–λPt+(1–λ)Pt–10<λ<l.
Con la trasformazione di Koyck)Pt–10<λPt+(1–λ)Pt–10<λ<l.
Con la trasformazione di Koyck<l.
Con la trasformazione di Koyck abbiamo: Yt=a(l-λPt+(1–λ)Pt–10<λ<l.
Con la trasformazione di Koyck)(Pt–Pt-1)+(1-λPt+(1–λ)Pt–10<λ<l.
Con la trasformazione di Koyck)Yt-1.
Questa formula, dice Lucas, a prima vista sembra incarnare le caratteristiche dell’ipotesi del tasso naturale di disoccupazione.
Dato che il coefficiente a(l-λPt+(1–λ)Pt–10<λ<l.
Con la trasformazione di Koyck) sui correnti saggi d’inflazione è positivo, questa formula afferma l’esistenza di un trade-off di breve periodo nella giusta direzione.
Però, la formula afferma che variazioni permanenti del livello dei prezzi non avranno effetti sulla produzione reale di lungo periodo.
L’equazione l afferma che l’inflazione produrrà una produzione reale più alta solo se prezzi attesi sono più bassi degli attuali.
Lo schema delle aspettative adattive non esclude la possibilità di aspettative inferiori ai prezzi correnti; ne segue che le aspettative adattive permettono lo scambio tra l’inflazione e la produzione reale nel breve e nel lungo periodo.
L’ultima formula “non riesce a formalizzare l’idea della neutralità delle forze monetarie, né l’idea che la moneta conti solo in quanto induce in errore gli agenti massimizzanti”.
La critica maggiore che Lucas muove all’equazione dell’offerta aggregata con l’aggiunta delle aspettative adattive è che “essa, pur volendo essere espressione del comportamento di agenti razionali, mostra in realtà agenti incapaci di correggere il loro errore di previsione pur difronte a una sistematica e prevedibile politica di incremento del tasso di crescita dell’offerta di moneta.
Conclusioni di Lucas: l’ipotesi che gli agenti economici formino le loro aspettative adattandosi ai tassi d’inflazione precedenti non conduce all’ipotesi di un tasso naturale di disoccupazione.
Le ipotesi delle aspettative adattive e del tasso naturale di disoccupazione sono alternative, quindi i modelli econometrici costruiti in base all’ipotesi delle aspettative adattive non possono ottenere una prova dell’esistenza di un tasso naturale di disoccupazione.
Solo l’ipotesi delle aspettative razionali conduce alla teoria del tasso naturale di disoccupazione.
L’esistenza nel breve periodo dell’apparente rigidità dei prezzi e di un apparente ruolo non neutrale della moneta non smentisce l’ipotesi delle aspettative razionali, perché entrambi non dipendono dall’illusione monetaria dei lavoratori, ma da un’informazione insufficiente che li induce in errore facendo apparire come variazione dei prezzi relativi le variazioni generali dei prezzi.
L’illusione monetaria sussisterebbe se i lavoratori si basassero sui prezzi assoluti anziché relativi.
Invece si basano sui prezzi relativi, solo che non sono adeguatamente informati sull’andamento di questi.
L’ipotesi del tasso naturale, se correttamente formulata, non comporta implicazioni nei confronti di qualsiasi equazione che sia espressione della relazione empirica tra livelli della disoccupazione e della produzione.
Friedman ha considerato la critica mossa dalla scuola delle aspettative razionali e ha concordato con essa che le previsioni sul livello futuro dei prezzi non si baseranno solo sull’andamento passato dei prezzi perché questo equivarrebbe ad affermare gli operatori sempre in ritardo rispetto ai prezzi attuali, ma anche che persisterebbero in modo indefinito in questo ritardo.
Quello che più preme a Friedman è che la teoria delle aspettative razionali permette di interpretare in modo diverso le stime empiriche della curva di Phillips.
Negli ultimi anni sono stati molti gli studi statistici che hanno cercato di determinare la pendenza della curva di Phillips di lungo periodo: verificare se essa sia o meno verticale.
La maggior parte delle verifiche empiriche è stata intrapresa sulla base della seguente equazione: 1/P dP/dt=a+b(1/P dP/dt)* + f(U) dove (1/P dP/dt)* è il tasso anticipato di variazione
dei prezzi; il lato sinistro è il tasso di variazione dei prezzi; U è la disoccupazione.
B è il coefficiente del tasso corrente, cioè la variazione % del tasso corrente di variazione dei prezzi che risulterebbe da una variazione dell’1% del tasso atteso d’inflazione.
Se dalla stima delle sene storiche si ottiene b=0, viene confermata l’ipotesi della correlazione tra variabili reali e monetarie, l’ipotesi della non neutralità della moneta.
Invece, se si ottiene un valore =1 si conferma l’ipotesi della neutralità della moneta.
Quasi tutte le verifiche, dice Friedman, hanno dato un valore di b<l, confermando un trade-off di lungo periodo.
L’introduzione delle ipotesi razionali ci permette di comprendere il contrasto tra i risultati della ricerca teorica e statistici.
La nuova macroeconomia classica è la scuola di pensiero economico che nasce dopo alla smentita che l’evidenza empirica ha inflitto all’ipotesi della correlazione di lungo periodo tra inflazione e disoccupazione.
Questa teoria economica si basa sull’assunto che tutti gli agenti possano sempre perseguire con successo la massimizzazione dell’utilità basandosi sulla valutazione delle variabili reali, variabili su cui le variazioni di origine monetaria non debbono mai avere alcuna influenza.
L’osservazione del fallimento delle politiche economiche aventi a loro fondamento la compenetrazione tra variabili reali e monetarie conduce i nuovi macroeconomisti classici a pensare che, se è vero che nel lungo periodo non esiste compenetrazione tra forze reali e monetarie, allora occorre assumere che anche nel breve periodo non vi sia compenetrazione.
Questa scuola trasferisce al breve periodo le osservazioni che il monetarismo aveva applicato al trade-off di lungo periodo.
Il funzionamento dell’economia, secondo Lucas, è imperniato su tre assunzioni: le aspettative in media sono sempre corrette; i prezzi nominali sono istantaneamente flessibili; gli operatori economici sono in equilibrio reale continuo.
Queste assunzioni appaiono irreali e estreme, ma nello schema teorico di Lucas sono funzionali alla dimostrazione dell’inesistenza, anche nel breve periodo, di una correlazione tra il settore reale e monetario.
In un modello monetarista, dopo l’aumento del tasso di crescita dell’offerta di moneta, avremo un aumento del reddito reale al di sopra del suo tasso naturale, in quanto i lavoratori, avendo quale aspettativa dell’inflazione il tasso di inflazione del periodo precedente, scambiano gli aumenti dei salari monetari per aumenti dei salari reali; e gli imprenditori hanno una valutazione opposta cioè attribuiscono all’aumento dei prezzi dei loro prodotti il significato dell’aumento dei prezzi relativi.
L’incremento del reddito reale non è però permanente; infatti dopo un certo periodo i lavoratori si accorgono che il tasso effettivo di inflazione è superiore a quello atteso e rivedono le loro aspettative d’inflazione in base all’ipotesi delle aspettative adattive: pet=pt-1.
Il divario tra reddito reale effettivo e reddito reale naturale inizierà a diminuire e si azzererà quando il tasso d’inflazione atteso dai lavoratori uguaglierà il tasso effettivo.
L’unico effetto permanente della politica monetaria sarà l’incremento dell’inflazione, che sarà uguale al tasso di crescita dell’offerta di moneta.
Nel modello dinamico della nuova macroeconomia classica, invece, se assumiamo che gli agenti conoscano l’intenzione delle autorità monetarie di accrescere l’offerta di moneta, tale espansione non produrrà alcun effetto reale ma condurrà solo ad un istantaneo incremento dell’inflazione.
Per le aspettative razionali, il valore atteso del tasso d’inflazione è uguale all’aspettativa matematica del tasso di inflazione condizionata allo stato dell’informazione del periodo in cui si forma l’aspettativa.
pet=E(pt/It-1).
Se assumiamo che l’insieme I t-l possa essere rappresentato dalla previsione della politica monetaria futura abbiamo: pet=E (pt/met).
Se la politica monetaria è quella prevista (mt=met) e se non si tiene conto di eventuali errori casuali, imprevedibili alla formazione dell’aspettativa, il valore effettivo dell’inflazione sarà uguale all’aspettativa condizionata e all’aspettativa razionale: pt=E (pt/met)=pet.
Quali sono allora gli effetti di una politica monetaria espansiva correttamente prevista dagli operatori? Secondo la nuova macroeconomia neoclassica, un incremento del tasso di crescita dell’offerta di moneta, purché previsto, non ha effetto sull’occupazione.
La politica monetaria espansiva è incapace di agire sull’occupazione anche quando la disoccupazione è al di sotto del suo livello naturale.
L’espansione monetaria non determinerà solo un aumento della domanda globale che da
DG0 diventa DG1, ma nel caso di aspettative razionali che abbiano previsto
la politica monetaria espansiva, anche un contemporaneo aumento dei prezzi, con un conseguente spostamento dell’offerta globale che passa da SP0 diventa SP1.
L’economia passerà da E a N e non raggiungerà G, come sperato.
Nel modello dinamico della nuova macroeconomia classica, nel caso in cui gli agenti conoscano l’intenzione delle autorità monetarie di accrescere l’offerta di moneta, un’espansione dell’offerta di moneta non produrrà alcun effetto reale, ma avrà solo l’effetto di un istantaneo incremento dell’inflazione.
L’immediata adozione dagli agenti di un tasso atteso di inflazione uguale al nuovo tasso di crescita dell’offerta di moneta
comporta lo spostamento dell’economia in un nuovo punto d’equilibrio, in cui il tasso d’inflazione atteso ed effettivo sono uguali al nuovo tasso di crescita dell’offerta di moneta e il livello del reddito reale è uguale al suo livello precedente.
Qual è la differenza tra il modello di Lucas e di Friedman? La differenza rispetto al modello dinamico monetarista è che nel percorso da un punto d’equilibrio all’altro, l’economia non ha mai conosciuto livelli del reddito reale superiori a quello naturale.
L’ipotesi delle aspettative razionali, implicando la conoscenza del funzionamento dell’economia da tutti gli operatori economici, e anche dai lavoratori, impedisce che le variazioni dei prezzi nominali possano essere scambiate per variazioni reali quando la politica economica espansiva è conosciuta.
Secondo Lucas, Sargent e gli altri nuovi neoclassici, gli aggiustamenti dell’economia dopo a variazioni dell’offerta di moneta conosciute dagli agenti sono più rapidi di quanto previsto dai monetaristi.
Nello schema keynesiano, nel quale non vengono introdotte le aspettative inflazionistiche, e il nesso di causalità tra i livelli dell’occupazione e dell’inflazione sono invertiti, si ipotizza invece una relazione stabile nel tempo tra inflazione e reddito reale, tale da consentire, con incrementi del tasso di crescita dell’offerta di moneta, incrementi permanenti del livello del reddito reale.
Nel caso in cui venga introdotta in quest’ultimo schema l’ipotesi di aspettative inflazionistiche, ma non accettata l’ipotesi della loro correttezza nel lungo periodo, l’economia raggiungerà, dopo una politica espansiva della domanda, un punto di equilibrio caratterizzato da un aumento permanente del reddito reale inferiore rispetto al caso precedente, accompagnato da un livello permanente di inflazione più elevato.
La teorizzazione della riduzione degli effetti reali della domanda monetaria qualora nell’economia ci sia un processo inflazionistico.
Nel dibattito economico è andata acquistando sempre più vigore l’inefficacia delle politiche espansive della domanda quale strumento principale di stimolo dell’occupazione.
Secondo Keynes, un’espansione della domanda monetaria può generare un incremento permanente del reddito in cambio di un incremento costante del tasso di inflazione.
Nel quadro di riferimento monetarista la stessa espansione della domanda monetaria permette solo un incremento temporaneo del reddito reale in cambio dell’incremento permanente del tasso dell’inflazione.
Nel quadro di riferimento della nuova macroeconomia le espansioni della domanda monetaria, purché previste, non hanno più alcun effetto reale e generano solo l’incremento permanente del tasso di inflazione.
La nuova macroeconomia neoclassica si pone così al termine del lungo percorso iniziato subito dopo la rivoluzione keynesiana e coinvolgente i rapporti tra la politica di gestione della domanda, la stabilità monetaria e la disoccupazione.
L’affinamento progressivo della formazione delle aspettative ha generato un mutamento del loro ruolo.
L’introduzione dell’ipotesi delle aspettative razionali conferma l’ipotesi della neutralità della moneta.
Le tesi della nuova macroeconomia neoclassica sono in contrasto con gli studi sulla curva di Phillips.
Occorre studiare quale sia la spiegazione del ciclo economico che viene fornita da questa scuola, la quale attribuisce più stabilità alle condizioni dell’offerta che non alle condizioni della domanda.
Questa assunzione fa dell’andamento della domanda il principale elemento generatore del ciclo.
Qui, l’inizio del ciclo sarebbe sempre contraddistinto da variazione congiunte dei prezzi e delle quantità prodotte.
Secondo la nuova macroeconomia neoclassica un aumento del tasso di crescita dell’offerta di moneta non ha effetto sul livello di produzione e occupazione, neanche nel breve periodo.
Una volta introdotta l’ipotesi della neutralità della moneta anche nel breve periodo e l’ipotesi della capacità di un uso pieno ed efficace delle informazioni disponibili dagli operatori economici, la nuova macroeconomia neoclassica spiega gli spostamenti autonomi della domanda globale che chiama in causa l’incompletezza dell’informazione.
Nella terminologia della nuova macroeconomia classica, l’aspettativa sul livello dei prezzi ottenuta dagli agenti prima di aver osservato gli andamenti imprevisti dei prezzi monetari sul proprio mercato locale è l’aspettativa ex-ante.
L’aspettativa formulata dopo aver osservato i prezzi del proprio mercato prende è l’aspettativa ex-post, che è una media tra il nuovo prezzo monetario locale osservato e l’aspettativa ex-ante.
Pet,n=hPt,n(1-h)Pet dove Pet,n è la media delle aspettative ex-post formulate sugli n mercati, Pt,n è la media dei prezzi monetari degli n mercati, Pet l’aspettativa ex-ante del livello dei prezzi e h è un parametro che può variare da 0 a l.
Quando h assume il valore limite di zero, l’aspettativa del tasso d’inflazione ex-ante si identifica con l’ex-post.
Quando l’aspettativa del livello dei prezzi ex-ante si identifica con quella expost, tutte le variazioni impreviste dei prezzi verranno interpretate come variazioni dei prezzi relativi.
Si genera così un incremento del reddito reale che dipende dall’incompletezza dell’informazione.
Quando invece l’aspettativa ex-post si mostra capace di interpretare nel giusto modo le variazioni sopraggiunte dei prezzi e diverge dall’aspettativa ex-ante, minori diventano gli aumenti del reddito reale, minori gli scostamenti dell’occupazione dal suo tasso naturale.
Quando l’aspettativa ex-post prevede tutti gli incrementi inattesi dei prezzi, gli effetti reali dell’espansione dell’offerta di moneta si ridurranno a zero.
Nel quadro di riferimento delineato l’andamento ciclico dell’economia dipende dall’andamento dell’informazione.
Quali sono gli effetti di una politica monetaria espansiva non prevista correttamente per mancanza di informazioni dagli operatori? Quando la politica monetaria espansiva non viene correttamente prevista, tutte le variazioni impreviste dei prezzi saranno interpretate come variazioni dei prezzi relativi.
La SP0 non si sposta, quindi si ha un’espansione economica: la domanda globale originaria DG0 diventa DG1; il punto di equilibrio dell’economia si sposta da E a G dove l’occupazione è Q1 ed è maggiore di quella strutturale.
La fase espansiva dell’economia è allora causata da un’informazione imperfetta sull’incremento effettivo subito dal tasso di crescita dell’offerta di moneta.
L’acquisizione della nuova informazione sul nuovo sentiero di crescita della moneta permetterà agli agenti di valutare correttamente gli aumenti dei prezzi.
Questo determinerà il ritorno dell’occupazione al suo livello strutturale.
Da G si passerà a L.
L’unico effetto permanente della politica espansiva è un incremento del livello dei prezzi che da P a P2.
Secondo la macroeconomia classica la fase espansiva dell’economia è dunque causata da un’informazione imperfetta sull’incremento effettivo subito dal tasso di crescita dell’offerta di moneta, mentre la fase recessiva è causata dall’acquisizione della nuova informazione relativa al nuovo sentiero di crescita della moneta.
Nel caso di una riduzione imprevista del tasso di crescita dell’offerta di moneta, la riduzione del reddito al disotto del suo livello naturale, secondo gli economisti di questa scuola, sarebbe l’effetto dell’imperfetta informazione.
Una successiva espansione andrebbe spiegata come la conseguenza dell’acquisizione di una informazione corretta.
Per la nuova macroeconomia classica in tutte queste fasi l’economia è in continuo equilibrio in quanto tutti gli agenti compiono le loro scelte reali volontariamente seppure in un contesto d’informazione imperfetta.
Questo spiega l’interpretazione che Lucas fornisce delle misurazioni statistiche della disoccupazione.
La maggior parte delle rilevazioni della disoccupazione sono ottenute, dice Lucas, con interviste ai lavoratori.
“Stai cercando attivamente un lavoro?”.
La maggior parte degli studiosi, dice Lucas, ritiene che gli intervistati, quando rispondono affermativamente, intendano rispondere affermativamente alla domanda: “Stai cercando lavoro al corrente saggio di salario?”.
Questa interpretazione non è corretta.
Dice Lucas: “Un lavoratore non sa quale sia il suo saggio di salario corrente.
Egli ha di fronte a sé diverse alternative e oscilla sempre tra i guadagni che gli possono derivare da un’ulteriore ricerca e i guadagni che gli possono derivare dall’accettare il miglior salario trovato in un certo momento.
Nella sua ricerca, il lavoratore usa la nozione di suo normale salario, basato sui salari ottenuti nelle occupazioni nelle quali ha lavorato.
Una volta che si sarà convinto che il suo saggio di salario normale è più basso di quello originalmente pensato, allora accetterà una diminuzione del suo salario monetario.” Secondo Lucas le stime della disoccupazione involontaria dipendono dalla mancanza di corrette informazioni dai lavoratori, che scambiano per involontaria la disoccupazione che invece dipende dalla loro incapacità di adeguarsi al vero livello corrente del salario monetario.
Quella sopra accennata è un’ulteriore spiegazione della rigidità di breve periodo dei salari monetari.
L’aver spiegato l’apparente compenetrazione di breve periodo tra variabili reali e monetarie come l’effetto degli errori compiuti dagli agenti, errori provocati dagli andamenti imprevisti dell’offerta di moneta, porta la nuova macroeconomia classica verso conclusioni radicali sulla conduzione della politica economica in generale e della politica monetaria in particolare.
Se solo le contrazioni e le espansioni impreviste dell’offerta di moneta contano, solo una politica monetaria imprevista può influire sull’andamento del reddito reale, mentre una politica monetaria anticiclica e sistematica, non potrà influire su di esso in quanto verrà prevista dagli agenti.
La critica più radicale: la nuova macroeconomia vieta l’uso della politica monetaria erratica, in quanto essa condurrebbe gli operatori economici ad interpretare le variazioni dei prezzi monetari locali come dovute quasi solo a variazioni monetarie.
Tale fatto crea pregiudizio al sistema economico perché comporta il rischio che non vengano correttamente interpretate le variazioni dei prezzi monetari dipendenti invece da variazioni dei prezzi relativi.
Una politica monetaria imprevedibile a lungo andare rende inefficace il sistema dei prezzi relativi come meccanismo allocatore delle risorse.
Un comportamento così dell’autorità monetaria può peggiorare il funzionamento dell’economia.
Né una politica monetaria istituzionalmente instabile, né una politica anticiclica possono migliorare l’andamento reale dell’economia, anche per la nuova macroeconomia classica, come per la teoria monetarista, solo la creazione di un contesto monetario stabile può fornire la migliore cornice per rendere minime le fluttuazioni.